03 ottobre 2013

First night



Siamo atterrati a notte fonda, pochi chilometri fuori da Providence. Non saprei dire con esattezza se a nord, est, ovest o sud. Di notte è tutto scuro e uguale, difficile quindi orientarsi a meno che non si conosca l’esatta posizione degli astri nel cielo. In quel caso forse un barlume di orientamento lo si sarebbe potuto avere.
Il viaggio è stato abbastanza rapido, e agevole. Il pilota sapeva il fatto suo, e ha evitato le rotte battute dalle navi confederate e da quelle alleata, nonché mine o chissà cos’atro sia stato disseminato lungo i confini spaziali. Anche il resto dell’equipaggio si è dimostrato efficiente dal punto di vista professionale, nonostante peccasse un po’ di capacità sociali. Ma in certe situazioni è forse meglio aver a fianco qualcuno che sappia il fatto suo e svolga correttamente i propri compiti, piuttosto che la persona più simpatica del ‘Verse ma incompetente.
Aiutato quindi dalle indicazioni ricevute a bordo, su quale fosse la via più breve per raggiungere Providence, mi sono incamminato. All’esterno pioveva. Una pioggia tutto sommato leggera, ma con gocce così fini da risultate sulla pelle nuda come piccole punture di ago.
Alle mie spalle, dopo aver fatto alcune centinaia di metri, ho sentito il rombo dei motori che venivano rimessi in moto. E la nave che fin qui mi aveva portato ha ripreso il volo, tagliandomi la possibilità di un ritorno su Greenfield nel caso avessi di lì a breve cambiato idea.

Ho impiegato parecchio ad arrivare alla cittadina. La strada era buia, e le luci in lontananza non aiutavano di certo la visuale del terreno. Terreno piuttosto accidentato, considerato che per poter fare prima sono stato costretto a tagliare per qualche campo. I rumori poi che ogni tanto riempivano il silenzio della notte, rotto altrimenti solo da sporadici boati, mi costringevano a fermarmi. Giusto il tempo per realizzare che erano causati da innocui animali notturni.
Quando sono stati distinguibili i profili delle costruzioni di Providence devo ammettere di aver tirato un sospiro di sollievo. L’adrenalina maturata durante il viaggio attraverso lo spazio aereo del sistema Polaris, in aggiunta a quella guadagnata durante quella camminata “serale”, rischiava di essere un po’ troppa così tutta insieme. Così come troppo inzuppati iniziavano ad essere i miei vestiti.
Nonostante l’orario sono anche riuscito a rimediare un posto al coperto per poter dormire qualche ora prima che si facesse l’alba.
Così adesso posso coricarmi e riposare un po’. Domani mi aspetta un altro viaggio, sperando di non doverlo fare interamente a piedi.

02 ottobre 2013

War... again



Con qualche ora di differita ho potuto ascoltare anche io il discorso del presidente Sarah Shepard:


Concittadini dell'Alleanza, 

abbiamo concluso poche ore fa le trattative con i rappresentanti della Confederazione di Polaris. Sono state settimane di lavoro e confronto intensissimi al termine delle quali, sono costretta a comunicare, non è stato possibile trovare un punto di incontro. 

Nonostante le barbare risoluzioni dei pianeti di Polaris che hanno deciso di imbarcarsi in questa folle, dissennata esperienza eversiva, il Governo Alleato ha prestato il suo orecchio alle richieste dei rappresentanti dei Sette. Abbiamo elaborato generosi piani economici che, in un lasso di tempo di circa due anni, avrebbero dimezzato il carico fiscale centrale sui pianeti di Polaris in difficoltà economiche. Allo stesso tempo, abbiamo proposto riforme che avrebbero dato maggiori poteri ai governi locali, in cambio dell'istituzione di organi di controllo che sorvegliassero la democraticità di quegli stessi governi e il grado di corruzione dei loro rappresentanti. Abbiamo offerto lauti aiuti economici da localizzare per lo sviluppo dell'istruzione, del sistema sanitario e della previdenza sociale. Ci siamo offerti di avviare programmi di recupero di quelle zone ancora non ripresesi completamente dalla tragicità della guerra.

Nessuna di queste proposte è stata accolta.

I rappresentanti confederati non si sono dimostrati interessati a qualsiasi tipo di mediazione, tanto da farci pensare che la loro presenza alle trattative sia stata solo un impacciato modo per guadagnare tempo e prepararsi al futuro. I capi militari che stanno organizzando l'esercito confederato sono gli stessi mandanti degli atti terroristici più efferati degli ultimi anni. Coloro che hanno voluto i corer fuori da Polaris dopo la constituzione in Confederazione sono le stesse persone che hanno reso possibile la barbara strage dell'Hunter's League di Saint Andrew. Coloro che oggi, a Polaris, incitano contro l'Alleanza truppe di giovani ingenui, privi di colpe, sono collegati a filo diretto con i latitanti che hanno messo una bomba nel centro di Capital City pochi mesi fa, uccidendo decine di civili innocenti.

Ci è chiaro, oggi, che non è per noi più possibile trattare con la Confederazione, poiché la Confederazione non è costituita dai cittadini che la abitano ma da una lunga serie di politici guerrafondai e ufficiali criminali, privi di scrupoli.

Ma è nostro primo dovere preservare l'Unità e la sicurezza dell'intera Nazione Alleata. Gli anni passati hanno dimostrato come un 'Verse unito sotto una grande potenza democratica e civilizzatrice non solo è possibile, ma è anche augurabile e moralmente inevitabile. 

E' con questa certezza nel cuore che dichiariamo guerra alla Confederazione di Polaris, intimando una resa immediata che risparmi inutili spargimenti di sangue.


E quindi è di nuovo guerra. Dopo troppo pochi anni dalla precedente.
Ci saranno morti, ci saranno feriti. Lutti e dolore. Devastazione. E per cosa?
Vale davvero così tanto, in termini di vite umane e di beni materiali, la riconquista di una misera parte di ‘Verse. Parte di ‘Verse che, tra virgolette, non sembra avere intenzione di tornare sotto l’egida alleata.
Quindi ci si devono giocare migliaia di morti, milioni di dollari in armi, per costringere sette pianeti alla resa?
Talvolta credo che i politici meno assennati siano coloro che cercano di far apparire, agli occhi della gente, gli altri come stolti.

Non esistono cittadini nella Confederazione, ma solo persone vogliose di sangue alleato. Così il discorso fa apparire gli abitanti del sistema Polaris. Io vengo da lì e presto ci farò ritorno, ma non mi considero affatto un guerrafondaio o un criminale incallito. Solo una persona che vuole riguadagnarsi e mantenere la propria indipendenza, senza dipendere da un macrogoverno, da quella “grande potenza democratica e civilizzatrice” descritta dalla Shepard nel suo discorso.
Non credo di chiedere troppo.
Ma evidentemente non tutti sono dello stesso parere.

E così ci si deve ritrovare, volenti o nolenti, ad una nuova resa dei conti.
Guardo fuori dalla finestra, in uno degli ultimi giorni che probabilmente passerò ad Oak Town, fermandomi a scrutare il verde dei prati e il giallo dei campi. Osservo le persone portarsi verso la propria casa, durante le ultime ore della giornata, mentre il sole di Dorado scende lentamente verso l'orizzonte.
Non mi resta altro che qualche sospiro ed una notte di sonno. Le prossime saranno giornate cariche di pensieri e poco riposanti...

07 settembre 2013

The girl on my bed



E’ stesa sul letto. Non era sufficientemente grande per poterci  dormire sopra entrambi. Così glielo ho lasciato.
Faccio fatica a scrivere. Sono stanco e vorrei stendermi sul pavimento per abbandonarmi al sonno. Ma non ci riesco. Non ancora.
Ogni tanto le illumino il viso per guardarla riposare. Gli occhi color miele sono chiusi, segno che ancora non ho fatto così tanto rumore da svegliarla. I capelli biondi le ricadono su una guancia, coprendole parzialmente il volto. Si può distintamente discernere la forma del suo corpo sotto il lenzuolo. Lenzuolo che periodicamente si alza e si abbassa, al ritmo del suo respiro.
Non ho idea cosa significhi questa sensazione di impellenza. Il desiderio bruciante di allungare una mano per toccarle il viso, come a voler appurare che sia tutto reale. Che non sia l’ennesimo frutto della mia fantasia. L’ennesimo vivido sogno da cui risvegliarsi con l’amaro in bocca. Era da mesi che non provavo nulla di simile.
Anna e Omi. Solo due donne mi hanno fatto sentire così. Posso sentire il martellare del mio cuore mentre lancio un’altra occhiata alla ragazza. Mi viene da sorridere. E’ difficile trattenere questo sorriso ma mi sforzo, perché so che abbiamo ceduto a qualcosa di sbagliato.
Destino avverso. Siamo come un contenitore diviso a metà da una membrana semipermeabile. Solo alcune molecole possono passare da una parte o dall’altra. Così le nostre idee ci rendono impossibile esternare tutto quello proviamo.
Ma va bene così, per ora.
Si muove, la ragazza, portandosi in posizione supina. Ha un braccio piegato e la mano infilata dietro la testa, sotto il cuscino. Le prime luci dell’alba iniziano ad illuminare la parte di stanza vicino alla finestra. Socchiudo gli occhi. Ma ormai resistere al richiamo del sonno è difficile. Riesco però a riaprirli, indugiando per qualche istante con lo sguardo sulla parete della stanza. Vuota, senza nulla di importante o degno di nota, ma ora particolarmente magnetica. Qualcosa su cui concentrare l’attenzione per impedire alla stanchezza di prendere il sopravvento.
La notte è stata lunga. Attesa. Un drink rimasto in sospeso troppo tempo. Due chiacchiere. Qualche bicchiere di troppo. Alla fine abbiamo ceduto.
Nulla di cui pentirsi. E’ stato un attimo lasciarsi andare. E lo rifarei. Però ciò non toglie che sia sbagliato. Soprattutto per lei, che sa cosa io pensi. Che sa in cosa io credi. Che sa le scelte che probabilmente mi troverò a fare nel prossimo futuro. Ma questa notte non le è importato. E non è importato neppure a me.
Le lancio l'ultima occhiata, per appurare che stia ancora dormendo. Sì, riposa ancora. O se non sta riposando, finge molto bene di farlo. Penso di lasciarla ancora un po’ nel letto. Ho bisogno di fare due passi per schiarirmi le idee…

28 agosto 2013

Serenity "Fucking" Valley I



Hera, Serenity Valley, 15 marzo 2511

Traccia audio 00021

Il rumore di spari lontani mi sveglia dopo neanche un’ora che mi ero addormentato, costringendomi a quella che sembra già essere l’ennesima notte insonne.
Mi bruciano gli occhi, che scommetto cinquanta dollari saranno rossi e cerchiati. Ma mi sforzo di tenere aperte le palpebre e guardarmi intorno.
Buio. Mi ci vuole qualche minuto perché i miei fotorecettori si abituino a quella carenza di luci, e mi permettano quindi di distinguere le sagome attorno a me.

I miei compagni. Amanti ideali in quelle notti di morte. Gente che preferisce i fatti alle parole, gente ormai rara purtroppo. Gente che, a differenza mia, non ha il sonno così leggero, visto il concerto di rantoli e russamenti che mi circonda. Sarò però lo stesso meglio parlare piano e non far rumore. Nessuno gradisce i risvegli precoci.

Li conosco tutti, per cognome. Adams, Lindsey, Trevor, Xinhan, Williams… potrei andare avanti per ore. Ma di nomi ne conosco pochi. Così come pochi conoscono il mio. “Per non affezionarci”, ci ripetiamo. Sappiamo che probabilmente questo pianeta sarà l’ultimo su cui metteremo mai più piede. Ma la cosa non ci spaventa. Quello in cui crediamo, o ci sembra di credere, ci spinge ad andare avanti.

Ogni giorno però la lista dei cognomi si accorcia. Fra qualche settimana potrei impiegare solo qualche minuto per elencarli tutti. Ogni giorno qualcuno muore. E domani potrebbe toccare a me.
Non so neanche io perché ho deciso di imbarcarmi in tutto questo. Lasciare le poche cose che ancora avevo, rischiando di non poterle più riavere. Ma ormai sono qua e tutto ciò che posso fare è tentare di sopravvivere ancora un giorno, una settimana, un mese. Sopravvivere fino a che tutto non sarà finito.
Aspetto. L’alba è ancora lontana. E c’è tempo perché i ricordi si affastellino nella mente e lottino per venire a galla.

Odore di sangue e carne bruciata. Corpi di uomini e donne ammassati come sacchi di immondizia. Non c’è tempo per seppellire i cadaveri. Troppi. E noi stiamo lì a guardarli. A guardare gli occhi vitrei dei nostri compagni caduti, che ci fissano chiedendo vendetta, mentre ci lecchiamo le ferite in attesa della carica successiva. Carica che non si fa mai attendere troppo a lungo. Sembrano non finire mai. Ci sciamano ogni volta addosso come locuste fameliche. Ci prendono per sfinimento, costringendoci ad indietreggiare.

Uno scoppio vicino mi riscuote dal torpore in cui ero caduto. Mi risveglia dai ricordi e dai pensieri. Si vedono distintamente, nel buio della notte, le scie dei proiettili. La battaglia non è più così lontana. Ma sembra che questa notte non finiremo sotto i colpi nemici. Almeno spero.
Domani, invece, sarà un altro giorno di morte.

30 maggio 2013

Unification




Il letto era troppo duro stanotte.
Mi son girato e rigirato ma non son riuscito a trovar la posizione adatta.
Sembrava quasi di aver sotto al materasso un chilo di sassi, tanto mi sentivo punzecchiare la schiena.
Ma non c’era nulla, era solo l’immaginazione fuorviata da mille pensieri.

Come una briciola di pane gettata nel fiume viene subito assalita da una moltitudine di pesci, così sono io in questo momento. Colpito da stress e pensieri vari.
Una notte insonne, dopo una giornata di merda, per buona parte passata seduto ad una sedia a guardar fuori dalla finestra il cielo libero da nubi.

Si festeggiava, o si sarebbe dovuto festeggiare, il giorno dell’Unificazione.
Ma di quelli che ho visto io, pochi avevano voglia di gioire.
Era una giornata da passar nel letto. A dormire. Non di certo da passare ad Hall Point per ripristinare la mia scorta di analgesici personali.
Ma è lì che l’ho passata. Prima al bazaar per incontrare il mio rivenditore, poi alla Roadhouse per attendere sorseggiando un bicchiere di scotch che si facesse l’ora del mio trasporto di ritorno.
E come in ogni luogo affollato che si rispetti, caotico e chiassoso, è facile veder sorgere delle discussioni. Non ci si doveva quindi stupire di questo. Come non ci si doveva stupire dell’argomento su cui la discussione verteva, visto il giorno “particolare” in cui ci si trovava.
Non ero dell’umore adatto per partecipare. E non lo erano neppure Beth e Philip, che ho trovato intenti a lavorare (almeno sembrano essersi ambientati bene).


I am a good old rebel
Now that's just what I am
And for this United Nation,
I do not give a damn
I'm glad I fought against them
I only wish we won
I ain't asked any pardon for anything I've done

I hate the Allies' nation and everything they do
I hate the declaration of surrender too
I hate the glorious Union, just dripping with our blood
I hate the red and blue flag, and fitted all I could

I road with John Roscoe,
for three years, thereabout
Got wounded in four places,
and I starved at point lookout
I caught the romatism,
Campin' in the snow
But I killed a chance of Bluejacks
and I'd like to kill some more

Three hundred thousand Bluejacks
is stiff in outer dust
we got three hundred thousand
before they conquered us
they died of outer fever
and outer steel and shot
I wish there were three million
instead of what we got

I can't pick up my rifle
and fight 'em down no more
but I ain't gonna love them
now that is certain sure
and I don't want no pardon
for what I was and am
I won't be reconstructed
and I do not give a damn

Oh, I am a good old rebel,
now that's just what I am,
and for this United Nation
I do not give a damn
I'm glad I fought against them,
I only wish we won
I ain't asked any pardon for anything I've done

Philip ha iniziato a canticchiarla. A bassa voce, certo, ma noi che eravam vicini abbiamo potuto sentirla.
Da quanto non la sentivo? Me l’ero quasi scordata.
Ma non va scordata. Non da noi che abbiam patito così tanto durante quegli anni di guerra.
Tutti abbiamo perso qualcosa. Chi la casa, chi un parente, chi la vita… chi tutte queste cose.
Nessuno escluso.
Non ho quindi potuto nascondere la mia delusione quando, dopo aver scherzato per alleggerir un po’ la tensione della giornata, mi son sentito arrivare un sacchetto di ghiaccio dritto sulla spalla e rinfacciare il contrario. Tra l’altro da una persona che ritenevo amica e a cui continuo nonostante tutto a tenere.
Chi ha sofferto di più non può odiare gli altri perché non hanno avuto quello che ha avuto lui. O per meglio dire non han perso quello che lui ha perso.

Il buono e ragionevole Philip voleva far da paciere. E ci sarebbe riuscito se non avessi avuto altri problemi ad affliggermi.
Il Ranch è circondato da letame. Non nel senso letterale della definizione. E bisogna trovare il modo di tirarlo fuori da quel campo minato.
Ma cosa più importante, sono in conflitto con la mia donna. Se ancora la si può definir tale. A volte è più simile ad un leone che ad un essere umano. Ma è così. Amen.
Quindi me ne sono andato, lasciando entrambi lì sullo skyplex, per tornare a casa. E gettarmi finalmente, dopo un viaggio fin troppo lungo con periodi di riposo fin troppo brevi, su un vero letto. Pronto per la mia ennesima notte insonne.