27 marzo 2013

I primi passi a zero-g



La prima volta a gravità zero non si scorda. Tanto più se sei stato trascinato in qualcosa che non volevi sinceramente sperimentare.
Tutto sommato, però, la scarica di adrenalina è riuscita a farmi assaporare quei momenti che altrimenti avrei volentieri rimosso dalla mia memoria.
Si galleggia.
Si fluttua nell’aria.
Si nuota per muoversi oppure ci si lancia cercando di spingersi sugli appigli più sicuri.
E in un relitto nel mezzo dello spazio, con lo scafo squarciato in più punti, di appigli sicuri ce ne sono pochi.
La Monkey Wrench ci aspettava, con la pilota (non ricordo il nome o magari neppure l’ho mai saputo) che teneva in asse la navicella per permetterci all’occorrenza di ritornare a bordo. E quel portellone, chiuso, dietro cui si trovava la passerella di collegamento per l’airlock era una visione abbastanza attraente.
Ma non potevo addurre molte scuse per rientrare, dato che il livello di radiazioni interno era accettabile. Almeno se sopportato per brevi periodi.
E allora eravamo lì a galleggiare, io e Myar, come due idioti. Almeno io lo sembravo. La tuta era rigida e rendeva ogni movimento meccanico e difficoltoso. E soprattutto goffo. E la goffaggine non era ammessa. Un passo falso e saremmo potuti essere risucchiati nello spazio da uno dei numerosi squarci nella paratia. Un semplice strappo nel tessuto della tuta e potevamo considerarci già morti per asfissia, assideramento o chissà che altro.
Pian piano ci si riesce a muovere, ma è veramente difficile se non si è abituati.
Lo spettacolo che ci si è offerto davanti non era tra l’altro dei migliori e non incitava nel proseguimento di quel tour guidato. Sedili scardinati e sangue. Sangue che macchiava le pareti e i sedili stessi. Che imbrattava i comandi nella plancia di pilotaggio. Che delimitava la strada per la sala macchine.
Siamo rientrati, senza molto più che altri dubbi ed incertezze su quello accaduto a quel relitto.
Abbiamo deciso, comunque, di allungare il viaggio per evitare di incontrare qualunque cosa abbia causato quel naufragio.

15 marzo 2013

Pensieri

E' il secondo giorno che vado a passeggiare lungo l'Hudson.
Anche ieri ci sono stato ma ero in compagnia. Oggi invece ho deciso di ritornarci da solo, o almeno senza altre presenze umane.
A dire il vero è la mia cavalla che mi ha condotto in quella direzione, ma a me piace pensare che la decisione finale sia stata la mia.
Mi sono seduto lungo l'argine e mi son tolto le scarpe, sporche e puzzolenti dopo ore passate a lavorare. Ho allungato le gambe verso l'acqua del ruscello e ho messo i piedi a mollo.
Non c'è voluto molto perchè, nonostante fossero immersi solo i piedi, una sensazione di freddo mi attanagliasse per intero costringendo il mio corpo a tremare per produrre quel calore di cui al momento aveva bisogno. Una mossa stupida forse, bagnarmi, data la non proprio estiva temperatura e la ancor meno mite temperatura dell'acqua. Ma mi ha fatto sentire vivo.
Per la prima volta dopo giorni mi sono ritagliato del tempo per me. Purtroppo ero accompagnato dai miei due animali. Ma almeno sembrava che non avessero voglia di rompere le scatole, per una volta. Athena infatti si era allontanata di qualche decina di metri, rovistando nel terreno alla ricerca di qualcosa di commestibile. 
Moccio-al-naso invece, quella scimmia che in un momento di debolezza (di estrema debolezza oserei dire) ho voluto comprare, era a pochi passi alla mia destra che ronfava tranquillamente. E considerato il casino che fa generalmente di notte non c'è da meravigliarsi che durante il giorno abbia bisogno di dormire. Tuttavia tende a riposare quando io sono impegnato in qualche lavoretto, per cui ha la capacità di rovinarmi tutti i momenti di pausa scassando le scatole. Ma è una scimmia, e forse non me la dovrei prendere così. 
Mi sono steso all'indietro, ritirando i piedi fuori dall'acqua e ho guardato il cielo. Cielo che dopo giorni finalmente è tornato ad essere libero da nubi.
Mi perdo pian piano nei miei pensieri.

Questo è quello che oggi mi sarebbe piaciuto fare. Invece, mentre scrivo, mi trovo disteso sul mio letto, a fissare null'altro che un soffitto che avrebbe probabilmente bisogno di una sistemata.
E' però vero che mi sto perdendo nei miei pensieri.
Eithan è stato ferito. E io dove ero quando un compagno aveva bisogno di aiuto? Forse in qualche taverna a bere, non ricordo. E mentre io scolavo bicchieri di rum, qualcuno stava per morire.
A questo penso, qui disteso. 
Penso che fosse una fortuna che qualche altro medico abbia risposto alla chiamata di aiuto. 
Penso che sono una persona inaffidabile.
Penso che non è giusto aver dei compagni se poi non sono in grado di garantirne la sopravvivenza. Non sono responsabile se decidono di farsi accoltellare, ma lo sono una volta che sono stati feriti. Allora dovrei entrare in gioco io...
Mi sento inutile, al momento. Quando servivo, non c'ero. E in futuro, se servisse ancora il mio aiuto, ci sarò?

Forse la mia strada non è questa. Non è esserci per salvare la vita a chi ancora ne dovrebbe avere una lunga davanti.
Forse sono più fatto per aiutare chi invece non ha la speranza di arrivare ai 30 anni. Chi può morire oggi come domani. In quel caso, se non dovessi essere reperibile, non mi si potrà incolpare di quella morte.

Sono inaffidabile.
E adesso ho bisogno di bere.

AGGIUNTA SUCCESSIVA:

Sta bene, ho controllato.
E seppur non lo dimostri, ora sto meglio anche io.


10 marzo 2013

Ricordi durante il viaggio di ritorno

Odore di morte nell'aria. Le baracche divelte. Pezzi di lamiere e assi di legno sparsi sul terreno. Nelle orecchie ancora il rimbombo degli scoppi, un fischio fastidioso dovuto al trauma acustico di una bomba caduta troppo vicino.
Jenna, due anni più vecchia di me, è china su un ragazzetto di circa 13 anni, con le gambe ridotte a poltiglia sanguinolenta. Probabilmente sopravviverà ma non camminerà mai più...

"Alan, porta qui la borsa con gli anestetici. E portami anche un seghetto."
"Ma sei fuori di testa? Vuoi farlo qui? Portiamolo via, potrebbero ripassare. E in quel caso nè tu nè io vorremo trovarci qui all'aperto!"
 "Non c'è tempo, a meno che tu non abbia con te qualche unità di sangue per evitare che si dissangui nel frattempo! Vieni qui e non rompere come tuo solito! Non passano due volte così ravvicinatamente sullo stesso posto. E poi chissà che avranno da bombardare sulle baracche. Grandi strutture strategiche per gli Indipendentisti eh! "
Mi avvicino, portando in una mano la borsa con gli strumenti e nell'altra una sega da falegname. Un po' spuntata forse, ma considerata la situazione non ci si può lamentare.
Si riesce ancora a sentire il saltuario sfrigolare dei corpi bruciati. Grasso e pelle cola dai cadaveri creando macchie untuose sul terreno. Sopprimo a fatica un conato di vomito.
Un rumore improvviso costringe Jenna e me a voltarci, distogliendo per un attimo lo sguardo dal povero ragazzo ai nostri piedi. Velivoli in avvicinamento. Ci guardiamo, entrambi sorpresi di quel nuovo passaggio su una zona già ampiamente distrutta.
Un secondo appena di titubanza, indecisi se trascinarci dietro il tredicenne o lasciarlo sul campo a morire. Decidiamo di lasciarlo lì, assicurandogli una morte veloce contro quella lenta e dolorosa del dissanguamento. Una lacrima appena sgorga dagli occhi di Jenna, creando un solco nello spesso di stratto di polvere che le imbratta il bel viso. E' sempre stata troppo sensibile, e in situazioni come quelle è una caratteristica che rischia di essere solo d'impiccio.
Iniziamo a correre, facendoci largo tra corpi e metallo. 
Inciampo. 
Mi rialzo. 
Riprendo a correre più forte di prima. 
Jenna è pochi metri dinanzi a me. 
Si iniziano a sentire gli scoppi. 
Prima uno, poi un altro. 
Sempre più vicini. 
Le orecchie iniziano a farci male. 
Le sferzate di aria sotto pressione generate dalle deflagrazioni ci sospingono in avanti. 
Iniziamo a sentire il calore delle esplosioni.

"Corri Alan! Corri!"

La voce di Jenna mi arriva attutita. Sembra lontana anni luce mentre invece, se allungassi il braccio, potrei quasi toccarle la schiena.
Socchiudo gli occhi, accecati da un bagliore inaspettato. Poi li riapro e Jenna non c'è più.
Mi ritrovo a mia volta catapultato all'indietro. Tutto sembra rallentato. Un fischio acuto e continuo mi impedisce di sentire qualsiasi cosa stia succedendo attorno a me.
Dolore, solo dolore. Devo avere qualche ossa rotta, ma non so. Avverto come una stilettata alla spalla sinistra, qualche scheggia mi sarà di sicuro penetrata nel braccio. So già che fra qualche minuto non vedrò più nulla e perderò conoscenza. Per ora l'adrenalina mi anestetizza e mi tiene vigile. Ma la scarica presto si esaurirà... devo trovare Jenna...
Muovo la testa a destra e a sinistra, per quel che il dolore mi consente di fare. E la vedo, a dieci metri da me. Sembra  muovere le labbra per dirmi qualcosa ma non sono mai stato bravo a leggere il labiale.  Un pezzo di legno le si è conficcato nel collo e uno spasmo le sconquassa il corpo martoriato, prima che smetta di respirare.
Piango e svengo.

Riapro gli occhi trovandomi su una barella improvvisata, in mezzo alla devastazione. Mi sento intontito dai farmaci che qualcuno deve avermi inoculato. Un paio di pinze si allontanano dalla mia spalla, estraendo una, due, tre schegge metalliche. Non sento niente. 
Svengo ancora.

Riapro nuovamente gli occhi, e non sono più su un campo di morte. Sono in viaggio verso Oak Town.
Siamo in fase di atterraggio, ancor pochi minuti e potrò scendere.
Istintivamente mi tocco la spalla sinistra  laddove, sotto la camicia, si celano le cicatrici. E' ciò che la guerra mi ha lasciato. Un ricordo doloroso. E altrettanto forte è il dolore che ancora mi attanaglia se non prendo i miei farmaci.
Quando il dolore si riacuisce, si risveglia anche il mio odio assopito verso l'Alleanza. 
Odio che per ora, vivendo e lavorando al ranch di Oak Town, devo tenere sotto controllo.

09 marzo 2013

Quando il bisogno ti porta a Safeport...

Safeport, porto sicuro. E sicuro lo deve per forza essere visto che ci si può procurare di tutto e incontrare di tutto. Ora mi trovo a Sunset Tower.

Quel damerino di Hall Point non è riuscito a procurarmi quello che avevo chiesto, così mi è toccato ricorrere a una amica. Non vorrei per questo averla messa nei guai. Anche se credo che qua non siano in vigore le stesse leggi che regolano il resto del 'Verse.

Sono atterrato pochi giorni fa. Un giorno intero di digiuno e sofferenza. Giusta punizione per non fare mai scorte durature di antidolorifici. Quelli in commercio sono troppo blandi, e non voglio che qualcuno mi veda acquistarli. Hogs si è offerta di reperirli al posto mio, ed è stata di parola. Se non fosse venuta a prendermi al pod con quelle pasticche avrei seriamente rischiato di non completare l'attraversamento della passerella. Sarebbe stato il mio ultimo volo, e come si potrà intuire non il più piacevole.

E pensare che non la conosco da tanto, Hogs. Non so neanche il suo nome intero. So solo che in qualche modo le è stata messa una taglia sopra la testa (devo ricordarmi di controllare sulla rete Cortex, prima o poi la curiosità mi farà uccidere, lo so). Ma abbiamo la stessa mentalità. Forse è per questo che mi sembra di frequentarla da più tempo di quello effettivo. Probabilmente è perchè veniamo dalla stessa realtà, dalle stesse baracche di Maracay, dove chi sopravvive viene su uguale in tutto e per tutto ai suoi vicini di casa. Ma a parte questo di lei so poco, solo che gestisce una officina meccanica, il C-Dog, e che èdi Richleaf. E' nel retro della sua officina che durante questi giorni mi ospiterà. Mi ha pure trovato un baby-sitter, il suo aiutante, affinchè possa andare in giro per questa pittoresca cittadina senza troppi casini. Se non fosse per 'sta dannata nebbia probabilmente mi godrei un po' di più la permanenza... che comunque sarà piuttosto breve. Appena il dolore sarà passato del tutto farò ritorno a Oak Town.

AGGIUNTA SUCCESSIVA:

Ho mosso qualche passo fuori dall'officina. La nebbia non è andata via. La baraccata ricorda molto da dove vengo io, tanto da farmi quasi sentire come a casa. I ricordi che riaffiorano però non sono tutti positivi, ma prima o poi li dovrò affrontare. 
E dovrò vincere io. 
Non si può vivere nel passato. 
Bisogna trovare la forza di credere nel futuro.
Un futuro che vedo sempre meno blu.
Le facce che ho incontrato nel breve tragitto non erano proprio raccomandabili. E di sicuro non appartenevano a stinchi di santo. Ma ho ritenuto opportuno non mettermi a fissare troppo i volti, anzi ho creduto fosse meglio guardarmi i piedi mentre camminavo.
Ho fatto comunque poca strada, mi sentivo un po' troppo osservato, anche se accompagnato da qualcuno del posto. Cin mi sembra di ricordare. L'aiutante di Hogs.

Fra qualche giorno rivedrò gli amici del ranch. non sanno il motivo per cui sono venuto qui, e neppure sanno esattamente dove sono atterrato. E non lo dovranno sapere se riesco a tenerli all'oscuro.
Soprattutto Myar non dovrà venirlo a sapere. Sono sicuro che non mi giudicherebbe per essere ricorso a certi metodi per procurarmi gli analgesici. Credo che sia veramente una amica. E per questo un po' mi dispiace mentirle. Ma non voglio correre il rischio di perderla.
Devo essere sincero... mi dispiace tornare alla routine. Qua si respira aria di libertà. Ma anche di illegalità. Si vede solo grigio e marrone, il blu pare bandito dalle tavolozze dei colori. E la cosa non mi dispiace troppo... mi han tolto troppe cose perchè io li veda con occhio diverso. Mi han tolto tutto.
Ho conosciuto degli ex soldati alleati, che non trovo male (Myar è tra questi) ma non bastano poche persone per farmi rivedere il mio pensiero a riguardo.
Però manca anche la funzione deterrente della presenza alleata... qui ognuno fa quel che gli pare, senza curarsi delle conseguenze. La fondina degli abitanti del luogo è troppo larga ed è  facile vedere pistole estratte.
Ogni cosa ha i suoi pro e i suoi contro. 
La bilancia verso quale dei due penderà?
Safeport sarà più bella o più dannata?
Resta solo da scoprirlo.

04 marzo 2013

La prima pagina

Forse è ora che anche io inizi a buttare giù qualche pensiero e qualche ricordo...
Per lo meno aver qualcosa da rileggere e su cui meditare prima di coricarmi potrebbe essere un buon modo per conciliarmi il sonno. Oppure potrebbe ottenere l'effetto opposto e farmi rivivere fatti spiacevoli.
Ma non importa. Come diciamo nel nostro ambiente il rapporto rischi/benefici è ottimale.
Presto dovrò scrivere qualcosa di più che non sia il semplice considerare come tenere un libro di memorie possa giovarmi. E sinceramente non so neppure perchè effettivamente sia questa la prima cosa venutami in mente da scrivere.
Forse sono veramente, come mi definiscono?, strano. O forse sto solamente tendendo verso la pazzia.
Non lo so e anche di questo mi importa poco. Tanto più che se divenissi pazzo neppure me ne accorgerei, probabilmente. Quindi perchè preoccuparsi di cose come la morte o la pazzia se tanto non si avverte il loro sopraggiungere?

Direi che come primo giorno può bastare. Sono poco abituato a riportare le cose in un diario e mi stanco presto di scrivere. E ne ho pure poca voglia, al momento.
Chiunque leggerà in futuro questi miei pensieri può chiamarmi pigro, se vuole. Avrebbe perfettamente ragione.